Cielo ed erte montagne, dove di amara gioventù splendetti in quei giorni lontani in Valtellina, quando presenze nei tronchi cercavo dei tuoi boschi eretti, e Oreadi e Amadriadi la mano a danze mi tendeano invitanti, sotto i castagni intenta ad evitare o a cercare quell'irto calpestio - tutte quante riusciva a fugare un satiro barbuto dai risonanti zoccoli caprini -, or alte ed incombenti, di selve ombrose e di declivi avare, ma invitanti per me che vi conosco, ben vi ritrovo e il passo piccola ed arrancante mi rivedo di pareggiar con l'adulto a cercare e i mali della vita ad affrontare. Ed oh!, quante castagne sotto la danza del piccolo piede sgusciavano da quei ricci ridenti, a riempir la cavagna[i] della nonna che a riposare siede, unica sua ricchezza quella selva, tredici volte costretta a esser madre, non fece a lei l'amor altro che torto. La religione unica cultura, sua punizione ed unico conforto, come il riccio che in testa a volte ti cadeva e ti feriva, ma almeno una castagna poi ti donava per consolazione. C'era silenzio allora tutt'intorno, non rumor di motori. Nella tasca, preziosa dotazione, a scuola ti portavi i brasché[ii], ma nessun rispondeva ai tuoi "perché?". Tirano indifferente nessuna casa era la mia casa, non c'era un padre che fosse mio padre, men raccolta ma più bella ti trovo, di ricchezza pervasa. Hai disteso le ali lungo il fiume, fosco l'Adda brontolava ai miei tempi agli scolari che ritardatari sul ponte a guardar giù, la maestra, impaziente, aspettava. E dalla fredda casa uscivo a immerger nella neve il passo per raggiunger in treno il capoluogo e i compagni di scuola. Sul treno si faceva un po' il ripasso, gli impulsi della vita ognor frenati, vani per sempre i nostri sogni alati. Oddio, una mia maestra[iii] è ancora viva e mi riconosce, il mio nome pronuncia ed il cognome. La sua severità m'intimoriva, sopra sue guance flosce vivi ancora lo sguardo e più la mente. Ora lei chiede riconoscimenti che io con commozione ben le accordo (la riga che pestava sulle dita, questo non le ricordo). La strada per Trivigno, dove fiorito era il primo amore - c'eran fragole e more, ai margini odoravan ciclamini, aspro delle nocciole il tegumento, ma era dolce il seme - si saliva con quegli scarponcini, un po' piagati dentro i calzettoni i piedi, spesso afflitti da geloni. E in chiesa a mendicare quella grazia che ottener mai riesco, le suore ti svegliavano in collegio, e mio padre pagava allor persino lezioni di tedesco, questo forse credeva che bastasse a far di me una figlia regolare. Mi facevan recitare le suore ruoli felici di educande liete, dovevo mascherare il mio dolore. Nessuna alternativa zii iracondi all'assenza paterna non concedevan mai, ma si doveva pur tirare avanti, solo talvolta beffarde attenzioni. Tu dovevi esser forte, non potevi esser trattata con i guanti, senza padre né casa. Ma radici ho in questa valle, dove ancora amici incontrando saluto, stupiti del mio viso sconosciuto, che il tempo e la città hanno segnato, eppure non mi han dimenticato, e il nome ripetuto magari baci provoca ed abbracci. I grandi or non ci fanno più paura, or siamo noi i grandi, e c'è chi parla persino di bei tempi, forse avuti. L'amica, io non posso contrariarla, ho un sorriso d'assenso. Diverse le versioni di uno stesso ricordo ormai lontano, ma il fiume scorre e il sole splende ancora, son ritornata a casa. Valtellina, terra mi fu d'esilio, ne faccio invece parte e più m'accora il non aver capito il grande affetto, e che conti comprenderne il dialetto. Lorenza Franco ------------------------------------- [i] Cesta di vimini [ii] caldarroste [iii] Rina Ceppi, ma la più cara fu Angela Vido