Ci sono ricascata in quel di Ponte, paesello dolcissimo ed ameno; sparge nell'aria insidioso un veleno quel campanile che sta a me di fronte. Piangono i cani offesi nell'udito, soffrono i recettori sensoriali. Se sono questi i suoni celestiali, il paradiso sarà poco ambito. I poeti che amavan le campane ne abitavan, di certo, ben lontano, in qualche casolare fuori mano, cui giungevano note quasi arcane. Ma quel simbolo fallico importuno, che ha stravolto il corso della storia, ancora s'erge là, con la sua boria, né da lui può difendersi nessuno. Vile mentalità sacrificale, interpretata dallo scampanio, per annunciare che si ammazza Dio e lo si mangia, su un crudele altare. Poi, a Natale, si farà gran festa, quando rinasce il capro espiatorio. Limbo non più, s'inventi il Purgatorio, siam tutti salvi! Paghi un'altra testa. Il divario fra musica e rumore è quel che c'è tra garbo e villania. L'una t'invita a non andare via, l'altro spaventa e fa tremare il cuore. E se ti svegli con le orecchie rotte, col sistema nervoso rovinato, pure se t'hanno dato il bentornato, rifa' le tue valigie, e buonanotte. Lorenza Franco