Autore del copione il gran Mosé[1], regista di se stesso Gesù Cristo, interprete di un ruolo amaro e tristo, per quel suo voler esser chi non è. Per dare adempimento alle Scritture[2], dové prestarsi Giuda, che capiva, unico colto di una schiera priva di possibilità d’investiture. Pilato, alla commedia consenziente, lo lascia in croce sol quant’è bastato[3] a non farlo morire. Dal costato ancora sangue sgorga da un vivente. Non per rimorso poi Giuda s’appende, ma per vergogna di avere creduto. Soffre il Maestro e geme e chiede aiuto, ma ancora di risorgere pretende. Non così Giuda… ormai dismagato, solo come i suoi padri nel deserto, dove per quarant’anni avean sofferto, quando più il loro duce avean trovato, né la sua tomba, ché Mosè fuggiva e li lasciava privi di conforto[4]. Ma quale tomba, se non c’è alcun morto? Nemmeno la speranza resta viva, e oscilla da quel ramo, indifferente alla tragedia che sostiene, vana, che divina non è, ma solo umana, unica realtà che mai non mente. 3 novembre 2000 Lorenza Franco ------------------------------------ [1] Sua è l’invenzione del messia. [2] Luca 18, 31 e altrove [3] Solo sei ore e senza spezzargli le gambe. Ma perché i chiodi nei polsi (e non nelle mani, ma come farlo capire agli stigmatizzati?) e nei piedi?Perché frustarlo 120 (!) volte come risulta dalla Sindone (ma è un falso)? [4] La tomba di Mosé è nel Kashmir, accanto a quella di Gesù che visse fino a 112 anni. Sarà vero?