Tu avresti voluto farti suora ma, senza dote, neanche Lui ti volle. Già tinta di tramonto la tua aurora, caddero i petali dalle corolle. Nella grande città poi, cameriera, la domenica andavi sui bastioni, sempre cercando la tua primavera, pioggia di sogni e sole d'illusioni. Anche un umile amor può esser grande, e il fiore fecondato diede un frutto. Ma non han mai risposta le domande, l'avventatezza è priva di costrutto. Insistere perché del matrimonio l'ambigua ad ottener riparazione? Giunse Cupido da quel lido ausonio, con una sola freccia in dotazione. Viaggio di nozze, viaggio di percosse, e c'era una bambina che moriva, prima ancor di saper che cosa fosse la legittimità d'essere viva. Le colpe non le paga chi è più forte, il suo linguaggio è solo di violenza. Non ebbe via d'uscita la tua sorte, chino il tuo capo in assurda obbedienza. Due figli, poi la guerra, la miseria, la casa bombardata (un locale), muore il sorriso, tu sempre più seria, gioie non dà il percorso sponsale. Ti rimaneva un'unica evasione: messa, rosario, chiesa per sfuggire del matrimonio all'amara prigione, guardando la bellezza tua sfiorire. Tu con i figli, tra i monti sfollata, lui con un'altra che gli diede un figlio. Nella grande città poi ritornata, ad affrontar di nuovo il suo cipiglio. Alle sue parrocchiane inviò il prete per Pasqua una pia cartolina, a rompere quella precaria quiete, di nuove botte oggetto Caterina. Non ti soccorse il figlio invocato; se il padre infuria, ci sarà un motivo che, giusto, sacrosanto ed approvato, il debole d'aiuto lascia privo. Ti tingevi i capelli, ahimé, di nero, c'era la morte dentro la tintura. Ora riposi là, nel cimitero, unica pace la tua sepoltura. I figli ancor dalla parte del padre, sulla tua tomba non chiedon perdono. Io, la cugina per parte di madre, della zia al compianto m'abbandono. Lorenza Franco