E una sera lo spirito del vino in questo metro
cantò nei fiaschi: “Io t’amo, o Uomo, orfano eterno,
e di sotto i vermigli sigilli del mio vetro,
a te disciolgo un inno luminoso e fraterno!
Io so quanta fatica e sudore ci vuole
per mettermi alla luce e darmi anima e fiato,
sulla collina in fiamme, sotto il cocente sole;
ma non sarò con te né maligno né ingrato,
poiché mi sento invadere da un’immensa letizia,
quando d’un uomo esausto l’arida gola inondo:
assai più delle umide mie celle mi delizia
la tomba calda e tenera del suo petto profondo!
Non odi le domeniche stornellare, ed un fresco
bisbiglio di speranze alitarmi nel seno?
Rimbòccati le maniche, appoggiati sul desco,
e celebra il mio nome: sarai lieto e sereno.
Io accenderò negli occhi della tua donna l’estasi;
ridarò a tuo figlio nuova forza e colore;
e, se lo coglie fragile e inerme la tempesta,
sarò l’olio che i muscoli rassoda al lottatore.
Infine in te cadrò, agreste ambrosia, polline
d’oro disseminato dal gran Seminatore,
perché dal nostro amore la poesia rampolli
e a Dio si levi, a guisa d’ineffabile fiore!”.
Les Fleurs du Mal, trad. di GesualdoBufalino, Mondadori, I ed. Oscar classici, p.199